24 Gennaio 2020 | Comunicazione
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Nelle culture aziendali comunemente diffuse, confrontarsi con qualcuno è spesso visto come un compito spiacevole e difficile: preferiamo girare attorno all’argomento con grande agilità, tergiversare e rimanere nella nostra amata comfort zone piuttosto che affrontare un conflitto a viso aperto e comunicare un nostro dissenso. E questo aumenta molto se si tratta di farlo con un nostro superiore.
Come abbiamo avuto modo di approfondire nell’articolo dedicato al feedback, tutti questi silenzi, questi non detti, caricano l’azienda di costi “occulti” che indeboliscono le performance e minano gli equilibri al suo interno: essi danneggiano il morale e l’impegno dei collaboratori, le relazioni, la cultura aziendale e le tempistiche di realizzazione dei progetti con un contestuale impatto economico e finanziario notevole e ancora poco considerato.
Gli intervistati affermano che, in questi casi, tendono a lamentarsi con gli altri, a svolgere attività inutili e a rimuginare sul problema, piuttosto che parlare.
Questa “cultura del silenzio” è il risultato di un processo che dura da decenni in molte realtà aziendali e che ha portato a demonizzare il conflitto, sacrificandolo di sovente sull’altare dell’accondiscendenza e celandolo da uno spropositato utilizzo del politically correct.
Molteplici sono le conseguenze negative che ne derivano:
La principale soluzione sta nella decisione, da parte della leadership, di creare un ambiente in cui le persone possano esprimere il proprio punto di vista in modo sereno. Questo cambiamento culturale non è facile e, l’inizio del percorso verso la trasparenza comunicativa, può significare per alcune persone il disimparare anni di radicate abitudini.
Di seguito propongo tre suggerimenti alla leadership aziendale per iniziare questo processo:
Il team ha la grande capacità di trasformare le incompetenze collettive in competenze di gruppo, e ciò è possibile solo attraverso una comunicazione trasparente, sincera e che arrivi come chiaro esempio da parte dei leader.
Prendiamo ad esempio le performance review annuali in un’azienda dove vige una cultura di comunicazione poco trasparente. Tre sono i fattori che entrano in gioco: le aspettative dei leader rispetto al loro messaggio ispirazionale iniziale, la coerenza dell’applicazione pratica di questo messaggio nell’operatività quotidiana e il ruolo giocato dal rimuginio e dal silenzio che il team ha rispetto a queste tematiche.
Quanto spesso ci troviamo sorpresi dai feedback che riceviamo dai nostri collaboratori?
Per evitare queste sorprese e per sostenere il processo di trasformazione verso una cultura più aperta al dialogo, i manager e lo staff devono apprendere come gestire le comunicazioni delicate, indipendentemente da quanto possano sentirsi a disagio e da quanto esse possano dar loro fastidio. L’aspetto emotivo che dirige queste situazioni è determinante e merita una formazione dedicata proprio perché questo bisogno sorgerà ripetutamente durante la carriera e li accompagnerà in tutti i loro posti di lavoro.
I collaboratori vogliono tendenzialmente fare in azienda quello per cui sono stati assunti: desiderano sapere che dipendiamo in parte dalle loro competenze, che il loro ruolo è importante e che ci fidiamo di loro.
Dalla nostra parte notiamo spesso aree in cui faremo le cose diversamente e le nostre capacità di delega vengono messe a dura prova: se deleghiamo troppo possiamo esser percepiti come “lassisti”, se deleghiamo troppo poco possiamo esser identificati come accentratori o come maniaci del controllo.
La strategia migliore è investire nei nostri punti di forza di leadership e lasciare che altre persone brillino con i loro.
Le migliori organizzazioni hanno leader che incoraggiano i team a risolvere i problemi a livello micro anziché utilizzare comandi top-down. Concentrano i loro programmi di formazione e sviluppo sulla costruzione di capacità di gestione per far sì che i propri team sappiano risolvere i problemi da soli.
Ascoltiamo di più le nostre squadre e scopriamo la verità sulle esperienze quotidiane delle persone che ne fanno parte, permettendogli di fare ciò che sanno fare meglio. Questo accrescerà la fiducia dei collaboratori nei nostri confronti, aumentandone la leadership comunicativa anche nell’essere educatamente in disaccordo con noi: il valore più grande percepito, eticamente, moralmente ed economicamente, non sarà tanto quello della ragione individuale ma quello del successo collettivo.
La nostra leadership, le persone che fanno parte della nostra organizzazione e i nostri risultati saranno migliori anche per questo.
Buona giornata,
Michele Prete
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