13 Agosto 2021 | Leadership
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L’anno passato ha cambiato il volto a molte cose, quasi completamente.
Il mondo del business che ci stiamo lasciando alle spalle veniva gestito con modalità previsionali: i guru erano gli istituti di analisi e ricerca che, sulla base delle loro elucubrazioni, delineavano le tendenze future e preparavano la bozza degli action plan attuativi; poi puntualmente implementati dalle aziende.
Per gestire la crescente complessità e imprevedibilità dell’ambiente esterno, sostenuta dall’avvento di internet e della digitalizzazione di massa, le imprese hanno risposto chiamando alle armi procedure, best practices, sistemi di controllo e una sempre più diffusa burocratizzazione interna.
Risultato: in un ambiente a complessità crescente, vigeva la sensazione illusoria di vivere in un contesto mediamente ordinato e controllabile, governato da leggi di causa ed effetto e dove la pianificazione dell’obiettivo, e delle relative strategie di raggiungimento hanno rappresentato per decenni i capisaldi della consulenza, della formazione e il fondamento di qualsiasi strategia esecutiva.
Target, sviluppo, KPI, super manager, yes-men e scarsa formazione sulla gestione dei rischi sistemici.
Poi arriva l’imprevedibile, e il castello crolla.
Dinnanzi alla brutalità degli eventi, molti si sono trovati impreparati.
Ciò che è emerso principalmente da questa situazione, a distanza di un anno e mezzo, è il ruolo cruciale dello sviluppo delle competenze all’interno delle aziende. Negli ultimi mesi sono stati chiamati a gran voce, come degli idoli, i nomi dell’innovazione, della creatività e della resilienza; quasi fossero interruttori da premere, competenze on demand che alla loro sola verbalizzazione si palesassero di fronte agli occhi di dirigenti e manager come le panacee di tutti i mali.
Lo stato dell’arte è ben diverso da questo: esso ci mostra che il lavoro sulle persone, sui processi di team building e sulle dinamiche di team working è qualcosa che va portato avanti con costanza, impegno e focus. Questo per far sì che, nel momento del bisogno, le competenze necessarie emergano quanto più spontaneamente possibile.
Secondo un recente articolo di Forbes[1], tra le dieci competenze maggiormente richieste per il 2021 appaiono voci interessanti, alcune delle quali mai viste in precedenza:
Le skill proposte indicano con chiarezza la necessità di un urgente lavoro sulla mentalità: passare da un focus reattivo ed esecutore, dove si reagisce ai cambiamenti e li si subisce; a una mentalità proattiva e creatrice, dove nella convivenza con il cambiamento si sviluppa la capacità di interpretarne i segnali. Questo fa sì che si concretizzi una forma mentis di apprendimento continuo, volta a raggiungere un’azione consapevole.
Nel bel mezzo di questo passaggio, condivido 5 step che ritengo utili per fare una riflessione sui driver futuri della consulenza e della formazione:
Al fine di analizzare con maggiore lucidità il contesto, anche quando in rapido movimento, far aumentare la consapevolezza emotiva diviene fondamentale nella gestione delle reazioni (spesso inconsapevoli) durante i momenti di transizione. Il risultato è comprendere e bilanciare l’illusione del controllo, imparando a convivere in modo sereno con il proprio essere, con i cambiamenti del proprio network e con le oscillazioni continue dell’ambiente.
Diffondere la cultura del “fallimento consapevole”, partendo dal management, è un passaggio chiave per sostenere la crescita delle nuove competenze richieste. L’obiettivo presente e futuro dello sviluppo manageriale deve distaccarsi dallo sfornare manager puramente esecutori e ossessionati esclusivamente dall’obiettivo. Concentrandosi sul nobilitare e accogliere il “mettersi in gioco” e il “riuscire a rialzarsi” dopo una caduta, si crea quella elasticità intellettuale che provoca sostegno, crescita e comprensione, di se stessi in primis.
Saper imparare con consapevolezza dai propri errori, accettare e condividere il feedback, contestualizzare lo sbaglio e implementarne l’apprendimento, sono tutti ingredienti essenziali per qualsiasi crescita personale e professionale. In azienda, queste caratteristiche fanno parte di un contenitore più vasto: la cultura interna. La generazione di un mindset richiede un insieme di valori chiaro, condiviso e supportato da un sistema di apprendimento continuo che abbracci aspetti tecnici, sviluppo della consapevolezza individuale e applicazione dell’intelligenza collettiva.
L’evento motivazionale spot sarà, come già da tempo, sempre più fine a se stesso.
Il risultato dei primi tre step è la creazione di una mentalità antifragile.
A differenza della resilienza, che appartiene a coloro i quali di fronte alle turbolenze riescono a incassare i colpi e a tornare al loro stato originale; la creazione di una mentalità antifragile è, invece, focalizzata a far sì che le persone esposte a cambiamenti non solo resistano, ma traggano da essi miglioria e spunti evolutivi.
Questo significa creare una visione sempre positiva, dove il rischio non esiste?
No; significa accettare che il disordine bilancia l’ordine e che, con i giusti strumenti, questa relazione rappresenta una delle più grandi fonti di apprendimento.
I punti precedenti creano una solida base di consapevolezza per destreggiarsi, decidere e agire in contesti imprevedibili.
Ma l’azione cela il banco di prova della consapevolezza: il coraggio di esporsi, di fallire, di sostenere le proprie convinzioni e di accettare il percorso come fonte di apprendimento.
Per leader e manager, inoltre, il voler diffondere e condividere questa mentalità con i propri team.
E questo, spesso, richiede un gran coraggio.
Buona giornata,
Michele Prete
[1] The top 10 skills recruiters are looking for in 2021 – Expert Panel®Forbes Councils Member – Forbes Human Resources Council – 2020
Bibliografia:
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